
Sottotitolo: ma chi 'tte credi, Umberto Eco?
Non sempre quello che scrivi e quello che volevi dire coincidono. Almeno, a me capita. Da quando pigio sulla tastiera per tenere in piedi questo blogghetto, mi è accaduto di iniziare un post pensando ad un determinato argomento, ma di concluderlo questionando d'altro. Alle volte perchè non m'è riuscito rendere l'idea, altre perchè il discorso mi ha preso la mano: a scuola si direbbe che sono andato fuori tema. Volendo nobilitare la cosa, potrei sostenere che -romanticamente- ho seguito il flusso dei pensieri, sicchè son state le parole a guidarmi laddove volevano.
In certi casi, però, l'ambiguità può essere voluta e anche ricercata: in fondo, le parole son graffi vuoti sul foglio bianco ed è il nostro cerebro a riempirle di senso. Soprattutto poeti e cantautori sembrano perseguire questo scopo: a Francesco De Gregori si è spesso contestato un eccessivo ermetismo, ma egli lo rivendica perchè ognuno può scivolare lungo i suoi versi e costruirsi l'esegesi personale di ogni testo.
Si tratta di fraintendimenti? Non so. Dopo tutto, noi cerchiamo di dare a ciò che leggiamo un senso che abbia significato "per noi". E alle volte restiamo delusi quando scopriamo qual è la spiegazione ortodossa.
Faccio un esempio proprio da una bellissima canzone di De Gregori, "Alice".
C'è una strofa che mi piace particolarmente:
"Il mendicante arabo ha qualcosa nel cappello,
ma è convinto che sia un portafortuna.
Non ti chiede mai pane o carità
e un posto per dormire non ce l'ha.
Ma tutto questo Alice non lo sa..."
Ho sempre pensato che i primi due versi evocassero la presenza di pochi spiccioli nel cappello del mendicante, posto a terra accanto a lui. E mi sembrava un'immagine molto potente. Poi sono venuto a sapere che la strofa era stata rimaneggiata all'uscita del disco, nel 1973, per questioni di censura.
L'originale diceva:
"Il mendicante arabo ha un cancro nel cappello,
ma è convinto che sia un portafortuna...."
L'immagine è potente ugualmente, anche se diversa: dobbiamo figurarci il mendicante col cappello sul capo a nascondere quel che, verosimilmente, lo sta divorando. Forse il senso è più chiaro, però mi sembra meno "poetico".