giovedì 15 ottobre 2009

Il Barbarossa e la padanità percepita

 

Nascita di un epos? Ai postumi…

1217605331757_barbarossa6 Vivo in Veneto e vi assicuro: non esiste nessuna, ma proprio nessuna padanità. Almeno, io non l’ho mai veduta, nè tantomeno la sento quando incontro qualcuno per strada. Tanto per cominciare, di Alberto da Giussano qui a nessuno è mai importato un fico secco; figurarsi cosa ce ne cale dei lombardi coi carretti o coi  carrocci, poi.

Da queste parti magari trovi rimpianto per i giorni dei dogi de venessia: perchè il leone di San Marco è proprio un bell’oggettino e sul gonfalone della  regione fa la sua figura.

Se ti sposti a Trieste incontri invece parecchi nostalgici dell’Austria e di Cecco Beppe: giusto per quell’idea di precisione e rigore che promana dal citare la vecchia burocrazia asburgica.

Ma gente che si sente padana, boh?

Prima dell’opera di Virgilio, immagino che nemmeno i Romani contemporanei di Augusto fossero consci della loro presunta discendenza da Enea e Ascanio detto Iulo: per far nascere un mito non è necessario che le vicende da cui lo si trae siano molto note. Basta un caso esemplare col topico fondo di verità da infarcire tramite una serie di variazioni funzionali ai propri scopi. Per cui il barbarossa_fortunaBarbarossa” di Renzo Martinelli, al di là dei suoi (molto opinabili) valori artistici, segna un deciso balzo di qualità nel pensiero leghista: più delle pagliacciate con l’ampollina sul sacro fiume, la storia dei lombardi contro l’Impero (non sarà Roma ladrona, ma comunque si tratta di un invasore nominalmente Romano) pare dar forma, sostanza e colore ad un popolo reale. Che poi questo popolo non esista nei fatti, diventa secondario. Se si cerca la nascita di un epos, può bastare la padanità percepita a farlo sbocciare. La storiografia, magma in continuo divenire, tra una trentina d’anni potrebbe perfino accettare come almeno plausibili queste che ora ci paiono vulgate eretiche da druidi a carnevale.

Orrore in Val Padana, insomma.

 

0 commenti :