Brachino sbraca ancora
Brachino finalmente si scusa per aver messo alla gogna un giudice reo di tentata sentenza (mancano ancora appelli e contrappelli) contro l’azienda sua e, incidentalmente, del presidente del consiglio. Quasi di passaggio, non rinuncia alla più classica difesa di chi è colto in fallo (sì, io l’ho fatto: ma guardate loro, sono peggio di me!), definendo inaccettabile la reazione di Repubblica: dimentica, forse, che è stata un po’ la reazione di tutti, per una volta.
Ma il giornalismo oggi si porta così, che volete farci. Brachino parla di “servizio sfortunato”, sottintendendo la mancanza del dolo: ho i miei dubbi. Quello che sono riusciti a dire su di un uomo che cammina per strada è francamente imbarazzante.
A rendere più chiaro il quadro generale giunge comunque il ministro Alfano il quale, invece di protestare per il modo in cui è stato screditato un magistrato (credevo si occupasse anche di giustizia, tra una dichiarazione e l’altra), usa questa vicenda come grimaldello per far passare ancora la tesi del povero Silvio, vittima travolta dal gossip:
«Per me le scuse di Brachino chiudono un caso, ma ne aprono platealmente un altro: il diritto alla privacy vale solo se c'è di mezzo un magistrato? Solo in quel caso il diritto alla privacy prevale sul diritto di cronaca, e quando di mezzo c'è il diritto dei comuni cittadini e del capo del Governo?»
Se sulla necessità di pubblicare le foto sarde di Zappadu sono perplesso (insignificanti e per nulla compromettenti, sono appunto solo gossip), sulla questione candidatura alla D’Addario (con festini annessi e connessi) credo che i giornali abbiano fatto benissimo a buttarsi a pesce.
In ogni caso, un conto è infangare una persona costruendo delle non-notizie; un altro è riportare dei fatti su cui ognuno si potrà fare una sua opinione.
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